Intervista a Marco Gandini della Scaligera Verona!
Dopo una stagione positiva come assistente allenatore della Scaligera Verona di A2, terminata ai playoff contro Treviglio, Marco Gandini ha risposto ad alcune domande analizzando i momenti e i concetti chiave del campionato dei veronesi:
Partiamo dal principio, prima dell’inizio ti saresti aspettato una stagione così positiva?
E’ stata una stagione che ci ha visti cambiare pelle tante volte a causa degli infortuni e degli inserimenti di nuovi giocatori. Ci aspettavamo sicuramente una stagione positiva perché dal principio avevamo la consapevolezza di allenare un roster di alto livello. Con l’arrivo di Poletti e Vujacic l’asticella si è alzata e, nonostante la stagione sia stata positiva, per renderla stupenda ci è mancato qualche dettaglio importante nella serie contro Treviglio.
La partita o il momento della stagione che hai amato di più?
Le due vittorie con Montegranaro…quella in casa nel girone di andata senza Udom (infortunato) e con in campo un quintetto da small ball nel finale che ha recuperato 13 punti in 3 minuti e mezzo…e quella in trasferta nel girone di ritorno (finalmente a roster completo) che ci ha dato la vera consapevolezza della squadra che avremmo potuto essere nei playoff.
E il momento più odiato?
Non esistono momenti da odiare, esistono partite chiave che quando ci ripensi ti lasciano una cicatrice perché avrebbero potuto segnare una svolta…e le cicatrici ti restano addosso per insegnarti come si deve fare per non farsi male…quindi in un certo senso sono anche positive. La nostra credo sia stata gara 2 con Casale persa in casa…per andare a vincere in Piemonte abbiamo dato fondo alla riserva di energie mentali e lo abbiamo pagato nella serie successiva.
Ferguson, Amato, Candussi, Vujacic e molti altri…Quanto è stato difficile amalgamare e far coesistere in campo talenti con caratteristiche così diverse?
Partiamo da un concetto generale…la pallacanestro è condivisione. Nel momento in cui alleni giocatori che hanno ben chiaro questo principio tutto diventa più facile. I campioni sono quelli che sanno condividere le responsabilità, gli oneri e gli onori…e noi fortunatamente avevamo in squadra tante persone di questo livello.
Se parliamo di sistema tutto sta nel convincere i giocatori che, se sono disposti a rinunciare a qualcosa di proprio per la squadra, saranno ricompensati con le vittorie…credo che Jazz Ferguson sia stato l’emblema di questo modo di vivere la pallacanestro e la squadra rinunciando a tanto di suo sin dal primo giorno di pre season.
Cosa di quanto imparato dai tuoi scorsi impieghi in panchina ti è stato pìù utile in quest’avventura?
Due aspetti che nella pallacanestro di oggi ritengo fondamentali: il piacere di ascoltare e parlare con le persone in maniera diretta (sottolineo con le persone prima che con i giocatori) e la capacità tecnica di adattarsi ai tanti cambi di assetto che abbiamo dovuto affrontare durante l’anno. Sono due elementi che devono necessariamente viaggiare insieme perché ogni cambiamento di roster comporta la ricerca di nuovi equilibri e i giocatori hanno bisogno di chiarezza tecnica e sincerità per comprendere e accettare pienamente l’evolversi del proprio ruolo all’interno della squadra.
Cosa vedi nel futuro di questa società?
Vedo la serie A perché Verona ha tutto a livello di città, pubblico, risorse umane in società e risorse economiche per poter ambire ad un ruolo da protagonista nella massima serie.